Pristina: La “città ribelle” che non ci lascia alibi
Spesso sentiamo dire ai nostri politici locali che il governo della città non è mica una cosa facile, che a urlare il proprio malcontento sono capaci tutti ma ben altra fatica è scontrarsi con le difficoltà degli enti locali, con il contesto circostante che non aiuta, con le regole dell’economia che legano le mani anche ai più volenterosi degli amministratori! Tutto vero, ma noi restiamo convinti che la volontà politica, con una buona dose di coraggio e di radicalità delle scelte quotidiane, possano aprire scenari di buon governo anche nei contesti più complicati. Basterebbe la volontà di ribellarsi alla consuetudine, di porre i processi decisionali in nuovi e dinamici percorsi di orizzontalità, usare le risorse per migliorare la vita di tutti i cittadini, chiudendo le porte alle servitù economiche della speculazione privata e dei monopoli. Quando parliamo di questi temi ci vengono in mente città governate da movimenti famosi in tutto il mondo, città ribelli, occidentali e inserite in contesti democratici di lunga tradizione: Barcellona, Madrid, Grenoble. Ma di fronte a questi esempi, i cinici sostenitori del “qui non cambierà mai nulla” potrebbero ancora storcere il naso perché, tutto sommato, è facile governare in maniera “alternativa” una città come Barcellona, ricca e protagonista di una secolare tradizione di democrazia dal basso… Ebbene, qui vogliamo parlare di un caso poco noto, di fronte al quale anche il più depresso dei rassegnati non potrà non ammettere che sono tutte scuse! E che, in fondo, il cambiamento è possibile ovunque.
A Pristina, la capitale del Kosovo, pochi giorni fa è stato riconfermato per la seconda volta il sindaco uscente, eletto per la prima volta nel 2013 contro tutte le aspettative del suo paese e degli osservatori internazionali. Una piccola rivoluzione che è partita 5 anni fa e che oggi, a giudicare dai risultati elettorali in tutto il Kosovo, sembra inarrestabile.
Il Kosovo è lo stato più giovane d’Europa, indipendente dal 2008 dalla Serbia e non ancora riconosciuto da molte nazioni. Un piccolo stato di popolazione albanese e musulmana al 90%, ultimo teatro di guerra d’Europa in ordine di tempo, dove nel biennio ‘98-’99 si è consumata l’ennesima carneficina nell’ambito dell’ex-Jugoslavia: i massacri e gli stupri etnici delle milizie di Milosevic, le violenze e il fanatismo nazionalista su entrambi i fronti, le bombe della NATO e la repressione da parte del contingente ONU, con la complicità della stessa Italia.
Oggi Transparency International definisce il Kosovo lo stato più corrotto dell’Europa fuori dagli ex confini Urss. Un solido apparato burocratico-nepotistico gestisce il potere (pur con “libere” elezioni), con il benestare dei governi occidentali che considerano questa classe politica funzionale ai propri interessi. L’illegalità è diffusa, le mafie dominano l’economia, il turismo è bloccato, mentre d’altra parte una popolazione anagraficamente tra le più giovani del continente chiede un cambiamento, scende in strada e si batte per una vita normale. Nelle città del Kosovo la vita notturna è florida, le piccole attività commerciali resistono e si respira un clima di laicità e spensieratezza. Ma le ambiguità dei Balcani sono sempre dietro l’angolo: mentre a Pristina i giovani scendono in strada e sfidano la polizia contro il malgoverno del paese, nascosti sulle montagne sorgevano i primi campi di addestramento dell’Isis su suolo europeo.
Pristina, capitale e centro nevralgico di queste ambiguità, per anni è stata governata da un vecchio sindaco del partito liberal-conservatore che governa la nazione insieme al socio di maggioranza della coalizione, l’egemonico Partito Democratico del Kosovo, ala politica del vecchio UCK, l’esercito guerrigliero che combatteva contro i serbi. Alle elezioni municipali del 2013, però, un altro “esercito” pacifico di giovani attivisti scese in campo a Pristina per sostenere il candidato del principale partito di opposizione: un movimento democratico-radicale di sinistra che prende il nome di Vetëvendosje! (in lingua albanese: Auto-determinazione!).
Il candidato si chiama Shpend Ahmeti, 38 anni, professore di economia con una laurea in Bulgaria e un’altra ad Harvard. Un gigante buono con la faccia sorniona alla John Belushi, che è riuscito a mobilitare i movimenti giovanili e proporsi alla popolazione come opzione alternativa al malgoverno decennale in città.
Ahmeti ha vinto per la seconda volta al ballottaggio contro il candidato dei partiti tradizionali, con il 43% dei voti (nel 2013 vinse con il 51%) presi soprattutto tra i giovanissimi, quelli che non hanno combattuto in guerra e che vogliono solo una città giusta, vivibile e accessibile. Il sindaco del cambiamento di Pristina ha vinto parlando di pochi temi centrali: lotta alla corruzione in tutte le sue forme, stop a nepotismo e privatizzazioni, acqua e servizi accessibili a tutti, incremento del trasporto urbano e guerra all’inquinamento. Appena pochi mesi dopo il suo primo insediamento, nel 2013, la polizia aveva sventato un tentativo di omicidio nei suoi confronti. Governare Pristina non sarebbe stato facile, tanto che il quotidiano inglese Guardian lo aveva nominato “Sindaco più coraggioso d’Europa”.
Tra le cose degne di nota di questi anni di amministrazione Ahmeti, senza dubbio c’è proprio la lotta al cemento, che in Kosovo come altrove è strettamente legata alla lotta alla corruzione e al monopolio privato. A Pristina nascevano palazzine come funghi, dal giorno alla notte, poi lasciate sfitte e abbandonate. I costruttori locali e stranieri facevano affari contro ogni legge dello stato e del buonsenso. Ahmeti ha letteralmente iniziato a buttare giù tutti i palazzi sfitti edificati nell’epoca del boom dell’illegalità: rasi al suolo tutti quelli non a norma e quelli incompiuti per mancanza di fondi. Dopo di ché, in un processo più ampio di digitalizzazione e trasparenza, il Comune ha avviato un sistema di auto-controllo e regolamentazione partecipata per verificare la fattibilità di ogni opera privata o pubblica sul territorio, nonché per garantire una casa a tutti i cittadini in lista d’attesa da anni.
La digitalizzazione dei servizi comunali è un altro traguardo della nuova amministrazione. Oggi a Pristina non si fa quasi più la fila negli uffici, tutto avviene su computer o cellulare. Di fatto la capitale del Kosovo è oggi molto più smart-city di molte città italiane che si fregiano di questo titolo. Anche l’ambiente è diventato centrale in un paese dove non è mai stato visto come una priorità. Ahmeti ha fatto piantare 2mila nuovi alberi e inaugurato quattro nuovi parchi urbani, l’illuminazione pubblica è stata tutta sostituita con lampade al Led e sono stati acquistati 51 nuovi autobus “per dichiarare – disse il Sindaco – guerra alle automobili”. Quella degli autobus, in effetti, fu una vera e propria guerra. Ovviamente le vetture andavano comprate dall’estero, ma il governo centrale del Kosovo metteva i bastoni tra le ruote al Sindaco bloccando i documenti che ne consentivano l’acquisto. Alla fine la battaglia è stata vinta, anche grazie alle pressioni dei cittadini, e il tentativo di boicottaggio della vecchia classe politica è naufragato. Oggi la città ha molte nuove linee di trasporto pubblico (prima ne aveva solo 7) anche se, come sostiene Ahmeti, ancora molte ne servirebbero per raggiungere livelli accettabili.
In una conferenza sul cambiamento climatico a Washington, insieme a molti altri sindaci, Shpend Ahmeti aveva dichiarato: “Molte persone mi dicono che siamo troppo piccoli e troppo poveri per influire sul cambiamento climatico, che dovremmo lasciar fare ai grandi. Non è vero, nessuno è troppo piccolo, possiamo fare la differenza e faremo tutto il possibile per farla”. E così è stato. Grazie a una piccola centrale termoelettrica oggi Pristina non usa più il petrolio per fornire acqua calda ai residenti, ma lo fa con energia pulita, garantendo acqua calda 24 ore su 24, con un risparmio del 20% di consumo energetico. Per una città come Pristina è una rivoluzione, che supera anche gli standard di molte città occidentali. Sul fronte del sociale, il governo della città non è stato da meno: Pristina è passata da una situazione educativa allarmante alla completa scolarizzazione dei minori, asili nido pubblici su tutto il territorio, prevenzione sanitaria obbligatoria nelle scuole.
E i rapporti con il resto d’Europa? Il movimento di cui Ahmeti fa parte è un caso unico nel panorama politico dei Balcani. Una forza politica di massa, di sinistra, in un paese ex-comunista, musulmano, dilaniato dalla guerra… Non esiste in ex-Jugoslavia un altro partito come Vetëvendosje!, il quale infatti ha rapporti ridottissimi con il resto della sinistra in Europa, proprio perché si porta dentro tutte le contraddizioni del mondo politico kosovaro. Il Sindaco di Pristina appartiene all’anima più moderata del partito, ma dentro Vetëvendosje! si confrontano sensibilità diverse, che vanno dal marxismo al patriottismo pan-albanese. Alcuni militanti di sinistra in Kosovo accusano il partito di parlare un linguaggio intellettuale e rivoluzionario all’interno, nelle riunioni o nei congressi, e uno più populista e nazionalista all’esterno. Tra le critiche avanzate verso lo stesso Sindaco Ahmeti – che è anche vice-segretario di Vetëvendosje! – c’è quella di un certo menefreghismo nei confronti della minoranza serba, a dimostrazione di ferite aperte e ancora non rimarginate, nemmeno in una forza politica che punta ad un futuro diverso per il Kosovo.
Ciò nonostante, il Sindaco di Pristina rappresenta proprio il personaggio di Vetëvendosje! più esposto al mondo esterno. La sfida del governo cittadino impone rapporti con altre città, con altri sindaci, partecipazione a congressi e iniziative internazionali. Anche il background di Ahmeti, accademico giramondo prima che politico di professione, aiuta molto a far conoscere all’estero l’esperienza di governo di Pristina e le posizioni dell’intero movimento. Il settimanale Politico.eu ha inserito Shpend Ahmeti nella classifica di fine anno del 2016 delle 28 persone che hanno “plasmato, stimolato e scosso l’Europa”. Il Sindaco viene intervistato da giornali europei e non, per parlare di sfide che possono suonare banali ma che, in Kosovo, non lo sono affatto. In ognuna di queste interviste Ahmeti ci tiene a ribadire: “Vogliamo dimostrare a tutti, con ogni mezzo a nostra disposizione, che c’è una via percorribile per governare in questo modo”.
Uno stile di vita sobrio, Ahmeti trascorre le sue ore libere in mezzo alla gente, pranza con i cittadini, si muove con i mezzi pubblici. Ma anche una storia personale fatta di impegno e coerenza: non è raro ad esempio che il Sindaco partecipi attivamente alle proteste contro il governo, difendendo fisicamente gli attivisti dalle cariche della polizia e finendo persino arrestato in una di queste occasioni.
Questa storia dimostra che non ci sono alibi: A livello cittadino, locale, negli enti di prossimità, ribellarsi alle regole del contesto sovrastante e circostante è un dovere imprescindibile se l’obiettivo è quello di cambiare in meglio e di foraggiare comunità consapevoli e partecipi. In un piccolo paese dilaniato da una sporca guerra, esposto agli estremismi di ogni sorta, incastrato tra il nazionalismo serbo, l’imperialismo NATO e il fanatismo religioso, è stato possibile creare un’esperienza di democrazia locale dal basso, laica, ambientalista e sociale. E’ stato reso possibile, in uno dei contesti più difficili e contraddittori d’Europa, governare una città con successo nel nome della trasparenza, dei beni comuni, dell’accessibilità e della vivibilità. Una missione che, da queste parti, può farti valere il titolo di Sindaco più coraggioso d’Europa.