Abolire il reato di clandestinita, oltre le percezioni irrazionali
Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha affermato in un’intervista al Tg1 che il reato di clandestinità in quanto tale “non serve, non ha senso e intasa i tribunali, ma è anche vero che c’è una percezione di insicurezza da parte dei cittadini per cui questo percorso di cambiamento delle regole lo faremo con calma, tutti insieme, senza fretta”.
Come Officine Civiche vogliamo aiutare questo percorso di sensibilizzazione e di cambiamento della “percezione” dei cittadini nei confronti della questione, nella convinzione forte che l’uomo e il cittadino sia uscito da un bel pezzo dal suo stato di minorità.
Introdotto con il dlg 286/98 del 2009 nel cosiddetto “pacchetto sicurezza Maroni” all’articolo 10 bis, il reato di clandestinità è perseguibile penalmente con ammenda che va dai 5.000 ai 10.000 euro.
Per prima cosa alcune considerazioni di principio, che però sono dirimenti, se si vuole affrontare l’argomento con razionalità e giustizia: la parte penale è in contrasto con i diritti fondamentali della persona umana. è in contrasto con la Costituzione perchè viola gli articoli 3 e 25 così come affermato nella sentenza 249 del luglio 2010 in merito all’aggravante di clandestinità: “ll rigoroso rispetto dei diritti inviolabili implica l’illegittimità di trattamenti penali più severi fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente compimento di atti «del tutto estranei al fatto-reato», introducendo così una responsabilità penale d’autore «in aperta violazione del principio di offensività”.
Dunque, si punisce la persona non in ragione di quello che fa ma per quello che è, per il semplice fatto di trovarsi in una condizione personale. L’ingresso o la presenza illegale del singolo straniero non rappresentano di per sé un fatto lesivo di beni meritevoli di tutela penale, ma sono l’espressione di una condizione individuale, quella di migrante. Insomma, punire una condizione personale contrasta con il principio di uguaglianza e con la fondamentale garanzia costituzionale in materia personale, in base alla quale si può essere puniti solo per fatti materiali.
Andando oltre, se questo reato è stato pensato come deterrente all’immigrazione clandestina, non si può certo affermare che abbia funzionato. Per prima cosa i migranti sono spesso senza lavoro e non sono in grado di pagare l’ammenda prevista e in secondo luogo non è visibile alcune effetto di questa previsione normativa sul numero degli arrivi. Al contrario, come affermato da autorevoli esponenti della magistratura e delle forze dell’ordine in questi giorni, il reato di clandestinità sembra essere solo d’ostacolo alle indagini sulla tratta di essere umani e il motivo è il seguente: per individuare gli scafisti le autorità devono interrogare i migranti che a loro volta si trovano imputati del reato di clandestinità. Nel nostro sistema processuale l’imputato non ha alcun obbligo di dire la verità e può non rispondere alle domande. Secondo Franco Roberti, capo della Direzione Nazionale antimafia e antiterrorismo, se i migranti non fossero imputati, sarebbero sentiti come testimoni o persone informate sui fatti con l’obbligo di dire la verità e senza potersi sottrarre alle domande. Non parliamo, poi, dei soldi pubblici sprecati per mandare avanti questo inutile balletto processuale.
È desolante che il Presidente del Consiglio e altri importanti membri del suo governo appiattiscano la loro azione politica sulla “percezione” dei cittadini. Non l’oggettività dei fatti, non la razionalità del diritto, ma la “pancia della gente”. Ruolo della politica è cambiare il luogo in cui viviamo, grande o piccolo che sia, nel modo in cui si ritiene più giusto per il bene della collettività. In questo processo di cambiamento i cittadini devono partecipare, devono essere coinvolti e coinvolgersi. La politica deve essere in grado di sfidare e orientare l’opinione pubblica. Questa è buona politica e questo è coraggio. Qualità a quanto pare dimenticate dalla attuale classe politica al governo del Paese.