Comitati di Quartiere: Una questione morale
Ora che le elezioni dei comitati di quartiere sono tutte finite e quindi senza paura di offendere nessuno con questo modesto contributo, soprattutto i tanti volontari che si sono impegnati nel tentativo di realizzare un piccolo ma importante momento partecipativo in ogni quartiere, proviamo a capire meglio come si sono svolte, se è filato tutto liscio o se si riscontrano criticità. Un’analisi non potevamo che farla ex post: la buona fede è la stessa che ci ha spinto a verificare i risultati, piuttosto che fare un’analisi preventiva basata su facili illazioni.
La criticità più importante è purtroppo sotto gli occhi tutti: nonostante l’impegno sincero di molti, tanti altri hanno utilizzato questo strumento per affermare il proprio potere sul territorio. Insomma, la politica ha allungato i tentacoli. Purtroppo non possiamo dire di nessuno che si sia astenuto dal giocare questa partita. E, ahinoi, questi comitati sembrano la riproposizione perfetta del nostro Consiglio Comunale. I grandi feudatari hanno giocato e hanno proposto nelle liste vassalli e valvassori, con buona pace di chi sperava in un momento di partecipazione popolare almeno per risolvere il problema delle tante buche sotto casa. Ci chiedevamo, infatti, se l’istituzionalizzazione di questi comitati di quartiere non sarebbe servita ad altro che a mantenere il controllo su quelle che dovrebbero appunto essere “aggregazioni cittadine spontanee”. Ecco, di spontaneo non c’è quasi niente. Chi è andato a votare ha visto stanziate intorno ai seggi combriccole di noti politicanti locali. Perfino chi gestiva i seggi era affiliato a questo o quel partito. Chi legge non fraintenda, molti hanno partecipato per davvero a quella che speravano fosse una competizione equilibrata per il bene del quartiere. La quale invece, in alcuni casi, è stata decisamente squilibrata.
E poi la cosa più odiosa: il meccanismo del quoziente. Il Presidente del comitato viene eletto dal Direttivo, nel quale ogni componente esprime un “voto/quoziente che è il rapporto tra i voti presi e la totalità dei voti espressi validi”. Per capirci, il mio voto non conta come uno, ma conta in base a quanti voti ho preso. È un meccanismo odioso perché nasconde, ma neppure troppo, la volontà di controllare il voto per l’elezione del Presidente, il quale curerà i rapporti con l’Amministrazione in rappresentanza del quartiere. Tra l’altro ci chiediamo se tutta questa artificiosità nella struttura dei comitati non serva semplicemente da trampolino di lancio per i prossimi Consigli Comunali. Per essere chiari: se una persona si impegna per il bene del proprio territorio è legittimo volersi spendere di più per il bene della nostra città, a tutti i livelli, purchè non diventi un’abitudine investire i prossimi dirigenti politici fin già dalle “stanze” di un comitato di quartiere. La democrazia è comunque ben altro.
Ci sentiamo un po’ a disagio a scomodare Enrico Berlinguer per una faccenda forse solo molto sciocca, ma dalle grandi alle piccole cose bisogna essere coerenti: “La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci ladri, corrotti, concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, denunciarli, metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti, con la guerra per bande, con la concezione della politica e con i metodi di governo. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano”. E il problema sembra essersi acuito (Ciampino ne è solo un microscopico esempio) perché i partiti (ciò che ne è rimasto), i movimenti, la “corrente o i clan cui si deve la carica” hanno occupato tutto lo spazio di libera partecipazione che i cittadini potevano crearsi da soli. Forse perché è troppo faticoso governare un libero confronto democratico? Forse non si è in grado di gestire critiche e dissenso? Forse che la democrazia sia una perdita di tempo?
I comitati di quartiere, lo spontaneismo che si organizza intorno ad un problema, sono di vitale importanza per la nostra città. Soprattutto in un momento nel quale mancano organizzazioni capillari che fungano da organi intermedi tra cittadini e istituzioni. Si sarebbe quindi potuta cogliere l’occasione per aiutare queste libere aggregazioni ad organizzarsi e lasciar loro poi lo spazio di definirsi. La politica ha perso l’opportunità di fare qualcosa di positivo per la nostra città.
Ma noi di Officine Civiche non disperiamo, perché sappiamo che se anche lo strumento può essere venuto fuori un po’ storto, l’impegno di tanti cittadini per il proprio quartiere c’è ed è tangibile. Saranno loro a dimostrarci che la cura per il proprio territorio viene prima dell’appartenenza politica.