Ciampino 2022: fuori dalla città-ghetto!
Cosa porterà il 2022 a Ciampino? Quali prospettive e quali scenari dobbiamo aspettarci per il nuovo anno? In questo secondo anno di crisi pandemica, di conseguente crisi sociale e di scelte più che discutibili dal governo nazionale, la stabilità sociale dei territori appare il primo agnello sacrificale. Basti pensare agli effetti che avrà sulle nostre città l’art.6 del Ddl Concorrenza. Intanto una cosa è certa, ogni anno che passa ci troviamo a vivere in una città più ghettizzata. Chi viene da fuori se ne accorge quasi subito: Ciampino è chiusa, inaccessibile, un labirinto di zone un tempo pubbliche e vive, dove oggi “non si può andare”. Filo spinato, cancelli sbarrati, telecamere, divieti, spazio pericolante, privatizzato, abbandonato, cantieri fermi da anni, cantieri nuovi senza senso, le proprietà di pochi, il patrimonio venduto all’asta, un intero centro storico off-limits e derubato alla collettività.
Ciampino sembra vittima di un preciso progetto di esclusione spaziale e sociale. Non è complottismo, sono le carte dei vari project financing, varianti e rigenerazioni degli ultimi anni. L’idea, condivisa da tutta l’élite economico-politica del mattone – che si trasforma in un mattone sempre più globalizzato – è quella di attirare investimenti per trasformare la città in qualcosa di simile a un hub commerciale della periferia romana. Una città-supermarket in mano ai grandi marchi della bassa qualità su larga scala. Una città-commodity, dove ogni spazio è gestito da qualche ente privato che lucra in cambio della promessa di non lasciarlo deperire, andando così a stuzzicare l’angoscia collettiva di una città stanca di avere spazi abbandonati ovunque, ostaggio dell’inagibilità. In questo modo si insinua il ricatto: meglio privato che distrutto, meglio a pagamento che chiuso per sempre. Dell’alternativa nessuno ne parla. Che la cittadinanza perda gli spazi che erano suoi, ormai lo si dà per scontato.
Pensiamo al nuovo svincolo a via di Morena / via S. Paolo della Croce, con annesso ponte e futura area commerciale. L’obiettivo, di per sé sacrosanto, di non continuare ad utilizzare un ponticello dei primi del ‘900 per oltrepassare la ferrovia in quell’unico punto di collegamento tra l’Acqua Acetosa e il centro cittadino, è sfociata nella realizzazione di un intero comparto che ha visto: l’installazione di un nuovo mega-ponte largo 12 metri e con una capienza potenziale abnorme; la previsione di un supermercato e un fast-food; la ridefinizione dell’intera viabilità, con un complesso svincolo viario che serve quasi solo a convogliare il traffico all’interno dell’area commerciale, privilegiando l’automobile e gli affari del privato, a discapito della mobilità di residenti e lavoratori dei quartieri circostanti.
Con questa operazione, tra le altre cose, si è ulteriormente ghettizzato un pezzo di città. La profondità del solco urbanistico che separa Ciampino Vecchia / Folgarella dal centro, si è aggravata. Invece di puntare a superare la barriera ferroviaria, la si è assecondata e inasprita con un muro invisibile fatto di traffico, curve, corsie di accelerazione e incroci, che va dal nuovo ponte a viale J. F. Kennedy. I pedoni sono ospiti indesiderati. Già oggi è facile osservare la pericolosa impresa delle persone che vogliono oltrepassare lo svincolo a piedi. C’è una pista ciclo-pedonale, di per sé criticabile in quanto promiscua, ma anche l’ennesima che non porta da nessuna parte, che in pochi giustamente useranno. Questa barriera avrà conseguenze sociali su un quartiere di classe lavoratrice e molto problematico come Ciampino Vecchia, già spazialmente rinchiuso in sé stesso e urbanisticamente isolato.
La stessa dinamica avviene alla Folgarella, oggetto di un piano integrato (via E. Reverberi) a tutto guadagno degli interessi di un costruttore. Al quartiere sarebbe spettato un ristoro economico, che invece è stato dirottato dalla precedente amministrazione comunale per la realizzazione di un altro intervento urbanistico in centro. Si tratta della trasformazione del complesso della ex Cantina Sociale in un hub di servizi privati, secondo il progetto presentato dalla ex Giunta di centrodestra: un centro biomedico, un punto di ristorazione, una banca. Usando il cavallo di Troia del rifacimento del teatro (eterno cantiere andato in malora per mancanza di fondi, colpa delle precedenti Giunte di centrosinistra), l’area culturale viene ridotta per far spazio ai nuovi portatori di interessi particolari e addirittura gli uffici bancari vengono pensati al posto della ex Galleria d’Arte, che attualmente ospita in via “temporanea” (da circa 10 anni!) i servizi della Biblioteca comunale. Chi paga tutto ciò? I residenti della Folgarella, privati di un ristoro economico di oltre 1 milione di euro, di cui il quartiere avrebbe avuto un bisogno vitale per uscire dal degrado, dal buio, dall’isolamento spaziale e dal deperimento di cui soffrono i suoi spazi.
Ci ritroviamo in una città che ghettizza i disabili e i minori, che penalizza le donne, perché ogni giorno che passa si trasforma in un campo di battaglia abilista e fallocentrico, pensato per essere attraversato solo in automobile, a patto di fare i conti con il traffico incontrollato, nella città con la più alta densità abitativa del centro Italia. Quanto abbiamo scritto non esaurisce la descrizione dell’idea complessiva della precedente Giunta, che per fortuna è caduta prima del tempo, ma che ha potuto contare su interessi che invece sono vivi e vegeti, pronti a portare a termine i loro piani sulla città. L’IGDO sarebbe stato l’ultimo tassello, se è vero che nei piani dell’amministrazione c’era di venire a patti con la proprietà – in cambio di cosa è facile intuirlo, nella città dove la risorsa primaria sono i metri cubi per il residenziale – per trasferirvi il Municipio. Un’operazione in linea con l’impianto sopra descritto, poiché andrebbe a liberare l’ultimo pezzo di ex Cantina Sociale da poter mettere a reddito. Il risultato sarebbe un centro urbano letteralmente occupato dai privati, inaccessibile ai residenti, con effetti demografici facilmente prevedibili: l’espulsione delle persone dal centro, l’impoverimento ulteriore dei quartieri periferici, la nascita di nuovi quartieri di classe media nelle aree verdi esterne rimaste (con conseguenze sul patrimonio idrogeologico, storico, ambientale e paesaggistico che per brevità non abbiamo citato). Il tutto non in una grande città, ma in appena 11 chilometri quadrati di territorio!
Ma il nuovo anno non deve per forza spaventarci: l’alternativa esiste. I pessimi progetti su carta possono essere ancora sventati e può essere pensato un modello diverso di sviluppo umano e di ecologia integrale per la città. Solo una reale presa di coscienza della cittadinanza può invertire il destino di Ciampino. Gli esempi di autorganizzazione sono sempre di più, ma l’obiettivo per il 2022 deve essere la messa a sistema di tutte quelle forze dal basso che hanno idee e braccia per mettere in pratica modelli alternativi, in grado di bloccare gli esiti più dannosi di questo ciclo mercantilista e reazionario di sviluppo urbano. Un gruppo di associazioni da tempo ha elaborato piani fattibili e proposte concrete. E non mancano in città le buone forze politiche che possono dare supporto.
Pensiamo al progetto di Rigenerazione Urbana Alternativa, dove le realtà sociali e politiche hanno provato ad immaginare un futuro diverso per molti punti critici della città, a partire dalla tombatura dei valli ferroviari per archiviare la cesura tra quartieri. Pensiamo al futuro progetto di Ecomuseo urbano, strumento regolato dalla Regione Lazio, in grado di sistematizzare le vertenze per il patrimonio diffuso, oltre che immaginare nuovi modelli economici, sostenibili e comunitari, attorno ad esso. Pensiamo alla proposta di Regolamento per l’uso civico dei Beni Comuni Urbani o agli strumenti di partecipazione cittadina alle scelte di trasformazione urbana. Pensiamo infine alla vittoria delle realtà ambientaliste sul Muro dei Francesi, recentemente inserito dentro il Parco regionale dei Castelli Romani. Tutto questo è il nocciolo di una città nuova.
Rivendicare l’alternativa, costruirla con le nostre strutture sociali, progettare idee attuabili da una posizione di gestione urbana. Questa è la strada che abbiamo sempre avuto presente, fin dalla nascita di Officine Civiche. Problemi sociali, consumo di suolo, privatizzazioni, sono facce della stessa medaglia. Serve un potere pubblico non più succube dei privati e della loro strategia “abbandona, compra, lucra”. Allo stesso tempo serve la partecipazione dei residenti, delle comunità, delle persone in carne ed ossa che questi luoghi li vivono ed hanno il diritto di progettare il loro futuro, di gestirne gli spazi e fruire delle risorse del territorio, a partire dalla terra libera, dal suolo non consumato. E’ possibile uscire dalla città-ghetto se sapremo cooperare, coinvolgere ampi strati di classe lavoratrice, agire il mutualismo e l’emancipazione popolare, creare sostegno al reddito partendo da un’economia sostenibile e territoriale. E’ possibile, se riusciremo a creare strutture più ampie, reti e movimenti trasversali, in grado di combattere su tutti i fronti contro chi ha molto più potere e più denaro di noi. Con l’augurio, da parte nostra, che il 2022 sia l’anno del loro arretramento e della nostra riscossa.